Lasciate ogni speranza o voi che entrate

Bochesmalas

sabato 5 novembre 2016

2:26



E venne il tempo delle foglie morte, del vento e della pelle d’oca. L’oscurità iniziò a guadagnare terreno, sottraendolo agli ultimi raggi solari della bella stagione che proprio non voleva saperne di ritirarsi.
Francesco, tra uno starnuto e l’altro, non smetteva un solo istante di ruminare chewing gum, ma anche di lamentarsi dei turni di lavoro, a suo modo di vedere massacranti. Be’ lui somatizzava molto velocemente, il più delle volte non gradiva la compagnia. e poi quel lavoro, a dirla tutta, era solo pura necessità. Rappresentava solo ed esclusivamente il minimo indispensabile per campare decentemente. Le soddisfazioni erano ben poche, lo stress e la stanchezza invece erano pure troppi per i suoi gusti. Trovava la maggior parte delle persone decisamente noiose e insignificanti, compresi i suoi colleghi, anzi soprattutto i suoi colleghi. Non tutti a dire il vero, ma la gran parte di loro gli grattugiava i coglioni solo a vederli in faccia. Spesso non sapendo di cosa parlare con persone che riteneva in qualche modo inferiori, s’infilava in argomenti insignificanti se non addirittura totalmente sconosciuti per lui. Giusto per accontentare la platea. Lui sapeva improvvisare su qualsiasi cazzata di questo mondo. Non aveva alcuna difficoltà. Una minchiata tirava l’altra, anche se molto spesso non tutte le minchiate venivano per nuocere. Anzi, alcune volte potevano ritornare utili all’esistenza stessa. Francesco era sempre sul pezzo, anche se la testa era altrove; poggiata su un tavolino in dolce compagnia o immersa in un oceano di sogni e pensieri. Ma le mani e le corde vocali potevano proseguire il lavoro di routine ugualmente, anche senza l’apporto dei neuroni e dell’anima. Il resto veniva da sé, se gli garbava.
Diciamo che s’impegnava al 40-50 percento delle sue possibilità, e questo gli era più che sufficiente per tirare avanti e passare per uno bravo e impegnato, quando invece non gliene fregava proprio un cazzo. Era tutta scena.
Fondamentalmente Francesco era un gran pigro e oltretutto la maggior parte delle cose di questo mondo lo annoiavano a morte dopo un battito di ciglia. Gli sarebbe piaciuto fare sport ma non aveva nessuna voglia di sottostare a orari rigidi, impegni fissi, privazioni, stenti e sacrifici. Gli sarebbe piaciuto dedicarsi all’arte ma di tutti suoi numerosi hobby non riusciva a portarne avanti neanche uno decentemente. La sua vita era un minestrone indigesto.
Tuttavia Francesco si faceva i cazzi propri e non gradiva quando gli altri non facevano altrettanto. Era fatto così; era un individuo tranquillo ma quando gli giravano bene il vortice poteva causare un maremoto.
Forse il suo equilibrio mentale non era così stabile come lui pensava che fosse ma era senz’altro sufficientemente bilanciato per non rischiare un ricovero coatto. Sicuramente l’apparenza, la maschera, il trucco e parrucco, riuscivano a mascherare le turbe mentali e a ingannare gli avversari.

In ogni caso, mentre siamo qui a parlare dei cazzi di Francesco accadono cose più importanti. Fatti e vicende più urgenti.

Alle 2 e 26 del mattino la temperatura crollò drasticamente, i vetri si ricoprirono di minuscole gocce di pioggia e il vento si gonfiò, tronfio e prepotente. In lontananza, dietro alla collina, i fulmini squarciavano le tenebre e spaventavano i gatti.
Tutto avvenne nel volgere di pochi istanti. Francesco ebbe giusto il tempo di riporre nel cassetto i suoi pensieri erotici e di sfregarsi gli occhi assonnati. Ingoiò il chewing gum che aveva tra i denti e si mise a correre. Il vetro della finestra cadde in frantumi con una pioggia di luce e la creatura entrò con le fauci spalancate e la schiuma rossastra tra le zanne cariate. L’urlo gutturale che emise fece tremare le mura. Francesco si mise a correre mettendo mano a tutta la riserva di energia, nonostante l’erezione ancora persistente e il sonno che gli avvolgeva le membra. L’essere piovuto dal cielo gli stava dietro senza difficoltà. Era alto quasi tre metri. Era nudo, con la pelle grigia ricoperta di squame. E urlava. E quelle urla erano più terrificanti delle sue zanne, dell’odore fetido che emetteva, degli artigli acuminati che solcavano l’aria, dei metri che conquistava a ogni secondo di corsa.
Francesco correva e nel frattempo cercava di tapparsi le orecchie con le mani, inseguito da quel rumore terribile. La velocità era un problema, era difficile da mantenere, ma non poteva fermarsi. Gli pareva che i suoi timpani iniziassero a sanguinare. Non ebbe il tempo di accertarsene, ma sentiva una strana sensazione di calore scivolare fuori dalle orecchie. Il mostro guadagnava terreno. Francesco sentiva l’alito immondo sul suo collo. Ma quelle urla non poteva proprio sopportarle, erano peggio della più atroce delle torture. Il cuore gli sobbalzava nel petto, Il sudore scorreva più velocemente della pioggia là fuori, ma non poteva fermarsi né rallentare. L’istinto di sopravvivenza, la vita che scorreva sotto le tempie pulsanti, le cose in sospeso e quegli occhioni che brillavano chiedevano di resistere, di non mollare per nessuna ragione al mondo. Le zanne del mostro erano sempre più vicine. I muscoli iniziavano a cedere e il cuore a non reggere più lo sforzo immane. Ma quelle urla erano peggio di tutto il resto, anche della possibilità di giocarsi la vita in un morso.
A quel punto Francesco non resistette oltre, premette con forza i palmi delle mani sui padiglioni auricolari e i pantaloni, tirati su troppo velocemente a causa dell’urgenza, scivolarono sulle caviglie, facendolo inciampare. Francesco restò sospeso in aria qualche istante, scalciando dentro il rotolo di cotone aggrovigliato. Atterrò con violenza sul pavimento, sospinto dall’impeto della corsa. La sua faccia si schiacciò sulle mattonelle in una piccola pozza di sangue, tra qualche dente e alcuni brandelli di labbra e gengive. Il mostro lo raggiunse. Frenò giusto pochi millimetri prima delle sue braghe indecorosamente calate. Poi si chinò verso di lui, anticipato da una colata di saliva fetida, schiumosa e oleosa.

- Echecazzo - disse con voce ansimante. - Finalmente ti sei fermato. Volevo solo sapere dove minchia è il bagno in questo cazzo di posto.

Francesco cercò di sollevare la sua faccia spiaccicata, ma mormorò qualcosa di incomprensibile e infine desistette, rituffandosi nella sua pozza di sangue.
In quel momento dal culo del mostro arrivò un flutto di merda tiepida e puzzolente che ricoprì la parte inferiore del corpo di Francesco.
- Ecco - disse il mostro. - Troppo tardi…




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